Luce sulla Storia

“Riprendiamoci la notte”: la violenza di genere tra diritto e storia dal basso

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Il 20 dicembre 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta la Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, con risoluzione 48/104.
La Dichiarazione ha il merito di proporre una definizione ampia del concetto di violenza contro le donne sottolineandone anche la profondità storica in quanto “manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne”. Articolo 1, l’espressione “violenza contro le donne” sta a significare:

“Ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata”.

Una tappa legislativa fondamentale che prepara il terreno alla dichiarazione del 1993 è la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW).
Una Convenzione con valore legalmente vincolante e non soltanto dichiaratorio, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, entrata in vigore il 3 settembre 1981. Con la CEDAW, per la prima volta in una Convenzione internazionale, veniva considerato un atto discriminatorio qualsiasi trattamento o condizione che impediva alle donne di godere appieno dei loro diritti e in maniera paritaria rispetto agli uomini.

Avanzamenti come questi sono il rispecchiamento legislativo di un processo ventennale di movimentazioni femministe che avevano messo al centro il corpo delle donne inteso come “luogo pubblico” da sottrarre a un regime di privatezza e di cui si doveva iniziare parlare collettivamente, nelle strade, anche fuori dai gruppi femministi.

In Italia, la questione della violenza sessuale e il riconoscimento dello stupro come delitto contro la persona assume una rilevanza mediatica nel settembre 1975, in seguito a quello che è passato alla storia come “massacro del Circeo”, con lo stupro a danno di due donne, l'assassinio di una delle due e il tentato assassinio dell'altra.

Era arrivato il momento di “riprendersi la notte” dicevano le femministe attraverso una serie di manifestazioni notturne organizzate a Roma nell’autunno 1976.
Di giorno angeli del focolare di notte oggetti da violentare” scrivevano su uno striscione portato a braccio in una di queste fiaccolate.

Nella storia legislativa italiana, il concetto di violenza contro le donne è evoluto nella cornice di un lento processo di superamento dell’immaginario patriarcale fondato sull’asimmetria tra i sessi.

Nel 1956 la Corte di Cassazione ha abolito un primo dispositivo di superiorità maschile all’interno della famiglia ossia la possibilità per i mariti di appellarsi allo jus corrigendi (art. 571 del codice penale), il diritto di educare e correggere – anche tramite l'uso della violenza fisica o morale – coloro che risultavano per legge assoggettate alla sua autorità.
Nel 1975, la riforma del diritto di famiglia ha costituito una svolta ulteriore verso la rottamazione – almeno sulla carta – di un’idea di famiglia organizzata gerarchicamente, con a capo il marito/padre. Nell’estate del 1981, la legge 442 abolisce il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Soltanto nel 1996 viene approvata la legge 66 sulla violenza sessuale che significativamente viene spostata dal Titolo IX al Titolo XII del codice penale, ossia dalla sfera dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a quella dei delitti contro la persona.

 La CEDAW del 1979 e poi la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 sono considerate tappe storiche imprescindibili verso l’allargamento del concetto di violenza di genere. Suggeriscono l’estensione della categoria di violenza “contro le donne” a tutte le sfumature che il genere può assumere e alle forme di particolare vulnerabilità:

“le donne appartenenti a gruppi minoritari, le donne indigene, le donne rifugiate, le donne migranti, le donne abitanti in comunità rurali e remote, le donne indigenti, le donne in istituti o in stato di detenzione, le bambine, le donne con invalidità, le donne anziane e le donne in situazioni di conflitto armato.”

Casi di stupro e violenza di genere restano all’ordine del giorno.
Secondo l’Osservatorio Nazionale di Non una di meno, durante il 2023 in Italia sono stati commessi 113 casi di femminicidi, lesbicidi e trans*cidi (dati aggiornati all’8 dicembre), una manifestazione statistica della difficoltà a sradicare forme di violenza strutturale e sistemica come la violenza di genere.

"Non erano mostri, né cani, né un branco in movimento" scrivevano lo scorso luglio, nel comunicato di Non una di meno nei giorni dello stupro di Palermo: "ragazzi, come i tanti che tutti i giorni dalle chat su WhatsApp al catcalling, dallo stalking ai mille processi di virilità tossica, sono figli della società patriarcale di cui riproducono i rapporti di potere e di violenza".
Perché al di là della “cultura dello stupro”, la violenza di genere assume varie forme, si manifesta più o meno scandalosamente e soprattutto si riproduce nella nostra disponibilità a normalizzarla.

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