Mercoledì 2 febbraio
Sarà Roberto Saviano, domani sera, a ricordare al grande pubblico di Sanremo che trent’anni fa vennero uccisi a Palermo i magistrati investigatori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme a Francesca Morvillo, anche lei magistrata, e a nove poliziotti (tra cui una donna) delle due scorte.
Immagino che Amadeus, nel presentare l’anniversario, mostrerà al pubblico la moneta da due euro che il Poligrafico dello Stato ha coniato, con i volti ravvicinati e sorridenti dei due, colti nella famosa foto di Franco Zecchin, due amici che ora se ne andranno in giro per l’Europa, come facevano una volta solo i Re e le Regine.
Mi sembra che la scelta di Saviano sia quanto mai opportuna, perché lo scrittore è stato il primo a far conoscere, all’Italia e al mondo, la ferocia e la potenza finanziaria di organizzazioni criminali capaci appunto di portare a termine attentati e stragi come non se n’erano mai visti in Europa. Ma leggo sui giornali che personaggi della destra italiana hanno dichiarato polemicamente che Saviano non sarebbe la persona adatta, perché è a favore della liberalizzazione delle droghe e perché nei suoi libri la mafia viene esaltata e non invece condannata.
Sono, a mio parere, argomenti speciosi; ma sollevano altre questioni: la prima è che è davvero ingeneroso non ricordare che Saviano era quasi un ragazzo quando denunciò con articoli e un libro la camorra del suo paese e quel coraggio gli è costato la rinuncia alla vita. Saviano, ormai uomo, vive sotto scorta pesantissima da una ventina d’anni; è dunque un simbolo vivente di “lotta alla mafia”. La seconda questione è che forse Saviano è l’unica persona che possa dire qualcosa di non retorico, di non falso, di non ipocrita; merce che invece abbonda nelle rievocazioni ufficiali.
Sono passati trent’anni e su quelle due stragi non si sa praticamente nulla.
Per Borsellino si parla ufficialmente del depistaggio più grande mai avvenuto nella storia della repubblica; per Falcone riaffiora solo ora la storia di uno degli organizzatori dell’attentato, trovato misteriosamente suicida in carcere (anno 1993) e volutamente dimenticato da un’intera generazione di magistrati e investigatori.
Ultimo è venuto ieri il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, che, preparandosi ad andare in pensione tra un mese, si è detto fiducioso che (dopo trent’anni!) forse si potranno avere “delle novità” sui due delitti, “nuove verità” che chiamano in causa “funzioni istituzionali” o “para istituzionali”, “pezzi di apparati investigativi e di sicurezza”.
Ne avrà di cose di cui parlare, giovedì sera, Roberto Saviano…
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