Martedì 23 Novembre
Con grande nostalgia per la sua persona, il suo talento e per la sua musica, approfitto di Maremosso per ricordare Paolo Pietrangeli, morto a soli 76 anni.
Si dice Pietrangeli e si dice “Contessa”, la canzone che divenne il simbolo del Sessantotto e che è continuata a risuonare per decenni. “Sapesse Contessa, all’industria di Aldo…”; “portate la falce, portate il martello, scendete in piazza, picchiate con quello”, “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, “di sangue han sporcato le finestre e le porte, chissà quanto tempo ci vorrà per pulire”.
Più che una canzone, era un inno, un invito alla battaglia di quei tempi senza tempo; e infatti Pietrangeli si arrabbiò (un po’, neanche troppo) quando i Modena City Ramblers, decenni dopo, riproposero “Contessa” a un concerto del Primo Maggio, in forma edulcorata e accettabile dalla RAI.
La canzone venne scritta nel 1966; il suo autore, studente universitario alla Sapienza di Roma, aveva assistito alla morte di uno studente socialista, Paolo Rossi, durante le provocazioni fasciste seguite a una “proto-occupazione” dell’Università ed era rimasto scandalizzato dalla conversazione, ascoltata di straforo da una tavolata di benpensanti in un bar di Roma che irridevano la sua morte. La scrisse di getto, ma esplose solo due anni dopo, quando tutte le università d’Italia vennero occupate. Pietrangeli sempre riconobbe che il suo successo era dovuto non tanto alle parole, quando al ritmo: “era scritta in dodecasillabi e quindi era adatta ad essere cantata camminando”.
Nello stesso anno, il '68, uno sconosciuto avvocato di Asti scrisse una canzone – Azzurro – che con Contessa fu la colonna sonora di quel periodo.
Se la prima parlava di battaglie, la seconda raccontava la solitudine, ma capitò anche che venissero intonate insieme, in cortei, come in gite scolastiche.
Paolo Conte ha sempre detto che le fortune di Azzurro erano state due: “era una marcetta, che si poteva cantare camminando e la cantò Adriano Celentano, che era una grande voce del popolo”.
Che bella era l’Italia, quando si scrivevano canzoni da cantare camminando.
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