To be or not to be. L'Amleto di Zelensky

Lunedì 14 marzo

Non so che effetto sortiscano su di voi le grandi scelte di vita che da alcuni stimati ospiti ci vengono proposte dai talk show italiani.
Armare gli ucraini? No, meglio che si arrendano; meglio per loro.
Incitarli alla lotta? No, se ne devono fare una ragione, sono già morti, e forse non lo sanno; inutile illuderli.
Passano sullo schermo generali e geopolitici, analisti e tipi loschi, professori sconosciuti che proclamano “io sono pagato per pensare” e poi sciorinano ricette di morte. Ci sono poi professori, molto amati dal pubblico di sinistra, che da decenni sostengono che la democrazia ateniese era pessima e che quella sovietica era ottima, e che quindi Putin fa la Storia…
E tutti occupano gli schermi, lamentandosi del “pensiero unico” che propone fotografie di donne ucraine uccise; appena ieri si lamentavano della “dittatura sanitaria” in vigore in Italia.

Per rinfrescarmi lo spirito, e spero anche il vostro, vi propongo due righe del presidente ucraino Zelensky qualche giorno fa al parlamento di Londra, dove perorava la causa del suo popolo. Zelensky, come sapete, è un “attore prestato alla politica”.
E la sua frase è stata: “La domanda per noi è oggi: “to be or not to be?”. Questa è una domanda shakesperiana. Per tredici giorni era giusto porsi questa domanda. Ma adesso io posso dare una risposta definitiva. È decisamente questa: sì, “essere”. “To be”.

Ecco, è toccato a un attore risolvere il quesito di Amleto che tormenta – per l’intonazione, per la gravità della voce, per i sospiri, con quel teschio vicino - i più grandi attori shakesperiani, da sempre.
Come risolvere il quesito? È semplice: essere, invece di non essere.

Grazie, Zelensky.
Dopo di te, l’Amleto non sarà più lo stesso.