Giovedì, 10 marzo
Ieri, quando tutti i media del mondo hanno fatto vedere l’ospedale per partorienti e neonati di Mariupol bombardato da missili russi, ho pensato, come credo moltissimi: “forse questa è la svolta”. Mariupol come Guernica, che venne esposta a Parigi a guerra in corso, con la Repubblica spagnola ancora non sconfitta.
Nelle guerre ci sono, i punti di svolta: nei Balcani fu il massacro di Srebrenica; Chelsea, la giovanissima figlia del presidente Clinton portò nello Studio Ovale una copia del New York Times con la fotografia di una donna bosniaca suicida per impiccagione, per sfuggire ai Serbi e chiese: “Papà, ma l’America permette questo?”. Nella Seconda guerra mondiale fu lo shock di Pearl Harbor, che segnò l’entrata in guerra americana; e ci fu anche lo sbarco alleato in Sicilia, che determinò la caduta del fascismo…
Poi, man mano che passavano le ore, ho capito che Mariupol non era ancora “la svolta”; come non lo era stata la bomba sul mercato nella Sarajevo assediata, in mezzo alla gente; come non lo era stato l’uso di armi chimiche da parte di Assad in Siria (“è stata varcata una linea rossa”, disse allora Obama… ma poi se lo dimenticò), come non lo era stata la distruzione di Aleppo, come non lo era stata l’avanzata senza resistenze dell’Isis alle porte di Bagdad…
E ho capito che per la svolta vera bisognerà aspettare; prima deve compiersi la tragedia annunciata di Kiev, prima deve essere martirizzata Odessa, prima bisogna garantire a Putin di poter salvare la faccia… a questo serve la diplomazia.
È dunque un buon momento per riprendere tra le mani “Guerra e Pace” di Tolstoj, con i suoi eserciti che avanzano e indietreggiano nella neve: le grandi avanzate di Napoleone e la successiva rotta; oppure le cronache della resa del generale Von Paulus a Stalingrado… la ritirata dell’esercito russo dall’Afghanistan, o quella dell’esercito americano da Saigon…
Purtroppo, non basta la distruzione dell’ospedale di Mariupol. Il mondo teme, ma anche vuole, qualcosa di più.
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