Qualche giorno fa sono andato nella chiesa del mio quartiere di Londra per partecipare ai Christmas Carols: una serata di tradizionali canti natalizi.
Premetto che, pur avendo avuto un'educazione cattolica come la maggioranza dei bambini italiani, non sono credente. E la chiesa in cui sono andato comunque è anglicana.
Ma c’era qualcosa di laico o almeno di ecumenico nell’aria. “Do il benvenuto a tutti, a chi viene qui ogni settimana, a chi ci viene per la prima volta”, ha detto il giovane sacerdote sulla porta.
Eravamo quasi tutti del quartiere, giovani e anziani, famiglie e persone sole. All’ingresso, ciascuno ha ricevuto una candela, che poi un usciere è passato ad accendere.
Un apposito cartoncino impediva alla cera di colare sulle dita: gente pratica e previdente, gli inglesi. La chiesa stessa era illuminata soltanto da lumi di candela, disposti lungo le navate ai lati dell’altare. Ogni canto veniva seguito da una lettura del Vangelo: storie natalizie che mi hanno riportato all’infanzia, Nazareth, Betlemme, i Re Magi.
Storie che avevo ripassato, per così dire, negli anni trascorsi come corrispondente del mio giornale a Gerusalemme, andando a vedere con i miei occhi i luoghi della Natività.
Abbiamo cantato (gli altri soprattutto: io a fil di voce, essendo stonato come una campana) Silent night (Astro del ciel nella versione italiana), In the bleak mid-winter, The first nowell, canti la cui musica e le cui parole sono nelle nostre orecchie da sempre, in qualunque lingua. Intanto, a rendere più magica la funzione, dalle ampie vetrate abbiamo visto che cominciava a nevicare.
A metà circa della cerimonia, il sacerdote ha pronunciato un breve sermone: “Cos’è il Natale?”, ha detto. “È la festa delle luci, le luci che sconfiggono le tenebre. Quanto bisogno abbiamo di luce oggi, dopo il Covid, mentre infuria la guerra in Ucraina, mentre siamo alle prese con la crisi energetica, per non parlare del cambiamento climatico che ci minaccia tutti.
Ma le luci, come la tenue fiamma di queste candele accese, infondono speranza, le tenebre finiranno, sorgerà di nuovo il giorno”. Per lui, era la metafora della fede. Per me, è il messaggio della natura: il buio a un certo punto finisce, il 21 dicembre, solstizio d’inverno, abbiamo la notte più lunga, poi il giorno comincia ad allungarsi, e con esso l’attesa di più luce, più tepore, nuova vita.
A Londra alcuni Christmas Carols sono veri e propri concerti a pagamento: questo invece era gratis, anche per questo più autentico ed emozionante.
All’uscita abbiamo lasciato un’offerta per i poveri del quartiere. Sulla porta della chiesa è stato servito ai partecipanti un bicchiere di “mulled wine”, l’equivalente del nostro vin brulé, e una “mince pie”, il tortino macinato che è una tradizione britannica, specie durante le festività natalizie. Ci siamo ritrovati a scambiare un augurio tra sconosciuti, mentre scendeva sempre più fitta la neve che nel corso della notte avrebbe paralizzato Londra, fermando il traffico, portando nelle sue strade un silenzio irreale. Come nei versi del canto di poco prima: “Silent night, holy night! All is calm, all is bright”.
Buon Natale a tutti.
Altre riflessioni di Enrico Franceschini
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