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Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: il cult di Fabrizio Gifuni

[...] le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo.

È tutto lì, in quella molteplicità di causali, in quel gomitolo.

Il lettore più attento non si sarà fatto sfuggire la consequenzialità di termini aggrovigliati e vorticosi, quella matassa intrecciata che fin dalle prime pagine di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ingarbuglia la mente del commissario Ingravallo, originario del Molise, ma stanziato a Roma.

Si tratta di qualcosa di non ben definibile, una pluralità dirompente di elementi in dialogo con ciò che li circonda, è la realtà sistemica stessa che talvolta si spezza, si sfasa, rompendo quell’agglomerato ed erompendo nell’incidente, nella singolarità, nella conseguenza di quelle causali.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Nel giro di pochi giorni, nel marzo del 1927, un furto di denaro e gioielli ai danni di una svaporata e fantasiosa vedova, la contessa Menegazzi, e poi l'omicidio della ricca, splendida e malinconica Liliana Balducci, sgozzata con ferocia inaudita, incrinano la decorosa quiete di un grigio palazzo abitato da pescecani, in via Merulana...

La visione del commissario Ingravallo, detto Ciccio, suona decolpevolizzante, e lo è dopotutto. C’è bisogno di sciacquarsi via un po’ di responsabilità, di sapere che non è per colpa del singolo se ci troviamo a precipitare negli inferi, in questo viaggio acherontico verso il basso, il fumo, il putrido, il viscido, il nero ventennio fascista.

Nella Roma del 1927, sotto la direzione di quel Pupazzo a Palazzo Chigi che tutto il tempo sta a strillà dar balcone come uno stracciarolo, il palazzo di via Merulana, al numero civico 219 subisce un duplice misfatto: prima il furto dei gioielli della contessa Menegazzi, poi a distanza di qualche giorno, l’uccisione di Liliana Balducci, amica dello stesso commissario.

Francesco Ingravallo ha per le mani una brutta gatta da pelare, un pasticciaccio bello e buono, che giorno dopo giorno lo porterà a scavare tra le numerose domestiche e nipoti, giovani ragazze di cui la signora Liliana amava circondarsi per compensare la sua solitudine e una mancata maternità, che spuntano come comparse sullo sfondo di un ambiente signorile, ignavo e ruffiano.

Dicevano i maligni, e, più, le maligne, che nonostante le nove donne e le diciotto scarpettine coi diciotto tacchi da donna che gli ticchettavano intorno alle ore di loisir... domestico, fra le pareti... domestiche, […] dicevano, dicevano, sì, che avesse pure un debole per quarcheduna delle nipotine apprendiste della Zamira, la tintora delli Due Santi.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ha cambiato veste e struttura prima di approdare alla sua forma-romanzo nel 1957, dopo che, su proposta di Livio Garzanti, l’ingegnere lombardo unì in un unico libro le cinque puntate uscite precedentemente sulla rivista «Letteratura». La riscrittura ha chiesto tempo e dedizione, tanto che Gadda si licenziò dalla Rai dove lavorava per occuparsi interamente della revisione del Pasticciaccio: al termine del lavoro ne risultò quella miscela di linguaggi e generi che innalzarono Gadda all’attenzione del grande pubblico, dopo i riconoscimenti fin ad allora espressi da una sola parte di critica.

È un romanzo che contiene tanti romanzi: c’è il noir, c’è il poliziesco, c’è un trattato di sociologia applicata sul ventennale flagello fascista, […] c’è una storia d’amore nascosta tra il protagonista, il commissario Ingravallo e Liliana Balducci; […] e poi come per tante cose che ci colpiscono e ci toccano c’è qualcosa di misterioso che non potrà mai essere spiegato fino in fondo.

Fabrizio Gifuni

Quel senso di mistero di cui parla l’attore-regista Fabrizio Gifuni è enfatizzato dal finale non canonico che Carlo Emilio Gadda scelse per il Pasticciaccio. Perché seppur si può intuire verso chi convergono le indagini di Ingravallo, il romanzo resterà senza un colpevole, e le rinnovate promesse dello scrittore a Garzanti, di tornare sulla materia per scrivere una seconda parte, non saranno mai soddisfatte.

Fabrizio Gifuni ci ha parlato del capolavoro gaddiano al termine della nostra intervista sul suo ultimo lavoro, intitolato Con il vostro irridente silenzio, un libro edito da Feltrinelli, ma anche uno spettacolo teatrale andato in scena al Teatro Franco Parenti di Milano. Tra i motivi che fanno di Quer pasticciaccio uno dei libri più significativi della sua vita - e aggiungiamo della vita di molti - c’è ovviamente quel groviglio di lingue, stilemi, neologismi e registri che sono la cifra distintiva di tutta l’opera gaddiana.

Nel 2023 ricorrevano i cinquant’anni dalla morte dello scrittore, celebrato con numerosi omaggi e iniziative, non per ultima la creazione della rivista «Gaddus» nata sotto la direzione di Mariarosa Bricchi, Paola Italia, Claudio Vela e Giorgio Pinotti (intervistato proprio in occasione della nuova pubblicazione del Giornale di guerra e di prigionia, per Adelphi).

Leggere Carlo Emilio Gadda significa misurarsi con la portata della nostra lingua, significa riportare nel presente, sempre più impoverito dalla superficialità e dalla ristrettezza – di tempo, di voglia, pure di vocaboli – una riflessione sull’importanza delle parole, sul loro multiuso, sulla loro variabile sonorità: significa esplicitare quella funzione che un importante critico come Gianfranco Contini ha attribuito ormai tempo fa all’ingegnere.

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Conosci l'autore

Carlo Emilio Gadda è stato uno scrittore italiano. Fece tutti i suoi studi a Milano, fino a quelli di ingegneria. Combattente nella prima guerra mondiale, fu fatto prigioniero e trasse da queste esperienze un Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato più tardi (1955). Negli anni Venti svolse la professione di ingegnere, in Italia e all’estero, collaborando nel frattempo alla rivista fiorentina «Solaria», nelle cui edizioni pubblicò gran parte delle sue prime opere narrative: La Madonna dei filosofi (1931) e Il castello di Udine (1934). Da Milano, dov’era tornato a stabilirsi, si trasferì nel 1940 a Firenze, e qui risiedette quasi ininterrottamente fino al 1950. Visse da allora a Roma, dove lavorò per il terzo programma radiofonico fino al 1955. A partire dagli anni Quaranta Gadda venne pubblicando le opere che lo hanno imposto come una delle grandi personalità letterarie del Novecento italiano: L’Adalgisa. Disegni milanesi (1944), affresco satirico della borghesia meneghina agli inizi del secolo, corredato di note che svolgono un controcanto saggistico; Il primo libro delle favole (1952); Novelle dal ducato in fiamme (1953, premio Viareggio), grottesca rappresentazione dell’ultimo periodo fascista; Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957, ma già apparso su «Letteratura» nel 1946-47), un «giallo» ambientato nei primi anni del fascismo, tra satira e tragedia; i saggi, le note autobiografiche, le divagazioni, raccolte in I viaggi la morte (1958) e Le meraviglie d’Italia (1964, con sostanziali modifiche rispetto alla prima edizione del 1939); I racconti. Accoppiamenti giudiziosi 1924-58 (1963); La cognizione del dolore (1963, ma già pubblicato «a tratti» su «Letteratura», nel 1938-41), una storia sarcastica e disperata, sottilmente autobiografica, sullo sfondo di una Lombardia travestita da Sudamerica; Eros e Priapo: da furore a cenere (1967), un romanzo-saggio sul fascismo. Ha completato successivamente la bibliografia gaddiana (ricca di altre opere minori) la pubblicazione del primo romanzo scritto da Gadda, La meccanica (1970) e di altri inediti dei suoi primi anni di attività letteraria (Novella seconda, 1971; Meditazione milanese, 1974; Romanzo italiano di ignoto del Novecento, 1983). L’arte sperimentale di Gadda ha profondamente rinnovato la narrativa italiana di questo secolo attraverso l’utilizzazione di geniali miscugli di dialetti, gerghi, tecnicismi e linguaggi diversi, e un continuo, imprevedibile stravolgimento delle strutture romanzesche tradizionali. Nutrito di cultura umanistica e scientifica e di ribollenti umori, di passione morale e civile e di un personale freudismo (tutti momenti di cui si sostanzia, fra l’altro, il suo odio contro il fascismo), di sarcasmo ma anche di pietà verso l’uomo, di private angosce e di intimo interesse per gli altri, Gadda si può considerare al tempo stesso un grande scrittore sperimentale e un classico. Suoi capolavori sono considerati Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore. Nel Pasticciaccio, servendosi di un genere popolare, il giallo, attraverso un prodigioso impasto linguistico e stilistico (con molti omaggi al romanesco di G.G. Belli), senza scegliere tra pietà e derisione, descrive uno spazio strapieno, zeppo di sgradevoli suoni e odori, di oltraggi esistenziali, di mattane storiche, di orrori biologici che si concentrano, «inopinate catastrofi», a orchestrare la follia. Una parola chiave in molte varianti percorre il romanzo: nodo, groppo, groviglio, gomitolo, gliuommero, ossia «pasticciaccio»: un garbuglio di cause che debilita la ragione del mondo. E Gadda non poteva scegliere metafora più adatta per indicare un efferato delitto, e un luogo più idoneo − per l’ambientazione − dell’urbe capitolina, dove il male oscuro si scenografa in una realtà demenziale e feroce: il fascismo, la morte, il lenocinio, il furto, le sozzure di bestie e di uomini. Composizione a struttura tematica, giocata su una complessa tastiera stilistica, ma nella quale predomina un acceso lirismo che si condensa infine nella figura materna, La cognizione è soprattutto una tragicommedia catartica. Autobiografia appena coperta dalle suggestioni grottesche di un immaginario paese latinoamericano che svela subito la toponomastica brianzola e la proiezione dell’autore nell’hidalgo Don Gonzalo Pirobutirro, l’opera è inoltre un’atroce e beffarda confessione mitica: nelle figure agoniche del reduce e della madre, il rapporto nevrotico diventa metafora universale di pena, «il male invisibile» che investe tutte le cose. Intriso di sarcasmo e dolore, il romanzo ha tuttavia la forza trascinante della liberazione, la capacità di ribaltare in poesia i rancori e le coazioni.Fonte immagine: sito editore Garzanti

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