[...] le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo.
È tutto lì, in quella molteplicità di causali, in quel gomitolo.
Il lettore più attento non si sarà fatto sfuggire la consequenzialità di termini aggrovigliati e vorticosi, quella matassa intrecciata che fin dalle prime pagine di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ingarbuglia la mente del commissario Ingravallo, originario del Molise, ma stanziato a Roma.
Si tratta di qualcosa di non ben definibile, una pluralità dirompente di elementi in dialogo con ciò che li circonda, è la realtà sistemica stessa che talvolta si spezza, si sfasa, rompendo quell’agglomerato ed erompendo nell’incidente, nella singolarità, nella conseguenza di quelle causali.
Nel giro di pochi giorni, nel marzo del 1927, un furto di denaro e gioielli ai danni di una svaporata e fantasiosa vedova, la contessa Menegazzi, e poi l'omicidio della ricca, splendida e malinconica Liliana Balducci, sgozzata con ferocia inaudita, incrinano la decorosa quiete di un grigio palazzo abitato da pescecani, in via Merulana...
La visione del commissario Ingravallo, detto Ciccio, suona decolpevolizzante, e lo è dopotutto. C’è bisogno di sciacquarsi via un po’ di responsabilità, di sapere che non è per colpa del singolo se ci troviamo a precipitare negli inferi, in questo viaggio acherontico verso il basso, il fumo, il putrido, il viscido, il nero ventennio fascista.
Nella Roma del 1927, sotto la direzione di quel Pupazzo a Palazzo Chigi che tutto il tempo sta a strillà dar balcone come uno stracciarolo, il palazzo di via Merulana, al numero civico 219 subisce un duplice misfatto: prima il furto dei gioielli della contessa Menegazzi, poi a distanza di qualche giorno, l’uccisione di Liliana Balducci, amica dello stesso commissario.
Francesco Ingravallo ha per le mani una brutta gatta da pelare, un pasticciaccio bello e buono, che giorno dopo giorno lo porterà a scavare tra le numerose domestiche e nipoti, giovani ragazze di cui la signora Liliana amava circondarsi per compensare la sua solitudine e una mancata maternità, che spuntano come comparse sullo sfondo di un ambiente signorile, ignavo e ruffiano.
Dicevano i maligni, e, più, le maligne, che nonostante le nove donne e le diciotto scarpettine coi diciotto tacchi da donna che gli ticchettavano intorno alle ore di loisir... domestico, fra le pareti... domestiche, […] dicevano, dicevano, sì, che avesse pure un debole per quarcheduna delle nipotine apprendiste della Zamira, la tintora delli Due Santi.
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ha cambiato veste e struttura prima di approdare alla sua forma-romanzo nel 1957, dopo che, su proposta di Livio Garzanti, l’ingegnere lombardo unì in un unico libro le cinque puntate uscite precedentemente sulla rivista «Letteratura». La riscrittura ha chiesto tempo e dedizione, tanto che Gadda si licenziò dalla Rai dove lavorava per occuparsi interamente della revisione del Pasticciaccio: al termine del lavoro ne risultò quella miscela di linguaggi e generi che innalzarono Gadda all’attenzione del grande pubblico, dopo i riconoscimenti fin ad allora espressi da una sola parte di critica.
È un romanzo che contiene tanti romanzi: c’è il noir, c’è il poliziesco, c’è un trattato di sociologia applicata sul ventennale flagello fascista, […] c’è una storia d’amore nascosta tra il protagonista, il commissario Ingravallo e Liliana Balducci; […] e poi come per tante cose che ci colpiscono e ci toccano c’è qualcosa di misterioso che non potrà mai essere spiegato fino in fondo.
Quel senso di mistero di cui parla l’attore-regista Fabrizio Gifuni è enfatizzato dal finale non canonico che Carlo Emilio Gadda scelse per il Pasticciaccio. Perché seppur si può intuire verso chi convergono le indagini di Ingravallo, il romanzo resterà senza un colpevole, e le rinnovate promesse dello scrittore a Garzanti, di tornare sulla materia per scrivere una seconda parte, non saranno mai soddisfatte.
Fabrizio Gifuni ci ha parlato del capolavoro gaddiano al termine della nostra intervista sul suo ultimo lavoro, intitolato Con il vostro irridente silenzio, un libro edito da Feltrinelli, ma anche uno spettacolo teatrale andato in scena al Teatro Franco Parenti di Milano. Tra i motivi che fanno di Quer pasticciaccio uno dei libri più significativi della sua vita - e aggiungiamo della vita di molti - c’è ovviamente quel groviglio di lingue, stilemi, neologismi e registri che sono la cifra distintiva di tutta l’opera gaddiana.
Nel 2023 ricorrevano i cinquant’anni dalla morte dello scrittore, celebrato con numerosi omaggi e iniziative, non per ultima la creazione della rivista «Gaddus» nata sotto la direzione di Mariarosa Bricchi, Paola Italia, Claudio Vela e Giorgio Pinotti (intervistato proprio in occasione della nuova pubblicazione del Giornale di guerra e di prigionia, per Adelphi).
Leggere Carlo Emilio Gadda significa misurarsi con la portata della nostra lingua, significa riportare nel presente, sempre più impoverito dalla superficialità e dalla ristrettezza – di tempo, di voglia, pure di vocaboli – una riflessione sull’importanza delle parole, sul loro multiuso, sulla loro variabile sonorità: significa esplicitare quella funzione che un importante critico come Gianfranco Contini ha attribuito ormai tempo fa all’ingegnere.
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