Cult!

Fontamara: il cult di Donatella Di Pietrantonio

Ogni scrittore parla della propria terra, ricalca linguaggio, sguardo e sonorità sulle asperità o le dolcezze del paesaggio natio, sul modo di fare e di pensare della propria comunità d’origine.

Può succedere di scappare, di andare lontano, in risposta a un rifiuto della propria tradizione, oppure di accoglierla, ma in entrambi i casi, più o meno inconsapevolmente, la narrazione ne sarà plasmata.

Donatella Di Pietrantonio e Ignazio Silone hanno in comune una terra d’origine e verosimilmente un tono, una voce, uno spirito: gli aspri paesaggi abruzzesi, brulli e scarsamente popolati, disseminati di paesi poco conosciuti alla cronaca nazionale, sono al centro della loro narrazione. Tra i due corrono due generazioni, ma la realtà dei cafoni fontamaresi, raccontata nel romanzo più famoso dello scrittore di Pescina, non si discosta molto da quella delle famiglie di Arsita o Penne degli anni Sessanta (i paesi in cui Donatella Di Pietrantonio è cresciuta).

La scrittrice è consapevole del suo debito nei confronti di Ignazio Silone, e infatti ci ha parlato dello scrittore con grande ammirazione. Dopo averla intervistata su L’età fragile, il suo ultimo libro pubblicato da Einaudi, senza esitare un momento ci ha indicato Fontamara come il suo libro cult, un romanzo catartico che le ha aperto gli occhi sulla sua stessa giovinezza:

Fontamara, di Silone, è stato un libro fondamentale nella mia formazione. L’ho letto in adolescenza, ero figlia di una famiglia contadina, quindi è stato come leggere la storia della mia famiglia, dei miei genitori, dei miei zii, dei miei vicini di casa

Donatella Di Pietrantonio

Pubblicato la prima volta nel 1933 in Svizzera, Fontamara è stato il primo romanzo italiano che ha posto al centro la realtà meridionale contadina, privandola di ogni ammanto idilliaco-bucolico e rappresentando la vita di queste comunità per quella che era: crudele, affamata, ignorante, alla mercé degli approfittatori.

A questo disegno, già di per sé impietoso, si è aggiunto l’avvento del fascismo che ha esasperato, nella netta critica di Silone, tutta una serie di comportamenti e tendenze ingannevoli che da sempre i “cittadini” attuavano nei confronti dei cafoni.

La deviazione di un corso d’acqua imposta dal Podestà del paese è pretesto di lamentele da parte dei fontamaresi, che in massa invocano un aiuto ai “don” e agli avvocatucoli di turno. In tutta risposta, tra latinismi e parolone che niente hanno da spartire col linguaggio contadino abruzzese, i fontamaresi continueranno a essere truffati, inconsapevoli della dittatura fascista in corso e per questo inermi e nell’impossibilità di poter cambiare in alcun modo il corso della storia, anzi condannati a subirla.

Anche per questo Fontamara è divenuta un’opera simbolo della resistenza antifascista, conosciuta in Italia solo nel 1945, dopo la fine della guerra. Al suo interno troviamo già quelle istanze politico-ideologiche in difesa degli emarginati che caratterizzeranno tutta la produzione siloniana, troppo a lungo denigrata dalla critica letteraria italiana, e tutt’oggi ancora poco conosciuta.

Per me la lettura di Fontamara è stata liberatoria perché mi ha tolto una specie di senso di vergogna e di senso di colpa dovuto all’appartenenza a quel ceto sociale. Grazie a Silone ho scoperto che persino i cafoni, che eravamo anche noi, che ero anche io, potevano avere una dignità letteraria.

Donatella Di Pietrantonio
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