Morire, dormire. Sognare, forse.
Sognare di vivere in un paese in cui la vita sia considerata espressione inalienabile dell'individuo che laicamente, giudiziosamente, liberamente possa disporne fino all'ultimo.
Prendiamo a prestito il dubbio di Amleto e le parole di Shakespeare per entrare in una stanza che le istituzioni si ostinano a tener chiusa.
È, questo, uno spazio nel quale l'individuo che ritenga di non poter più condurre una vita dignitosa, sa di poter contare su un quadro giuridico, civile e culturale che gli riconosca il diritto di dire "basta". Peccato che in Italia il dibattito sul fine vita assuma spesso toni dettati dall'emotività e da un'antica pregiudiziale ideologica che sarebbe ora di abbandonare.
Ma attenzione: non pensiamo che il tema del fine vita e del modo in cui uno Stato è disposto a inquadrarlo riguardi solamente persone malate o vittime di condizioni che la scienza considera irreversibili. No, questo è un tema di cittadinanza. Un filtro attraverso il quale passa moltissimo del rapporto che a ogni individuo è dato coltivare con le istituzioni.
È per certi versi IL tema capitale, quello che meglio di qualsiasi altro tema può dirci quanto - in ultima analisi - siamo liberi in quanto esseri umani che vivono in una società strutturata.
Ecco perché abbiamo colto l'occasione offertaci dall'uscita in libreria di Il diritto di andarsene. Filosofia e diritto del fine vita tra presente e futuro (UTET edizioni) per incontrare l'autore, il filosofo e giusfilosofo Giovanni Fornero, che al tema aveva dedicato un libro precedente (anch'esso pubblicato da UTET e intitolato Indisponibilità e disponibilità della vita. Una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria). Vogliamo proporre a tutti voi quest'intervista, nella certezza che chiunque potrà trovarvi spunti di riflessione che i libri del Professor Fornero permetteranno poi di approfondire. Buona lettura!
Muovendosi non solo su un piano etico e bioetico, ma anche giuridico e biogiuridico, "Il diritto di andarsene" ricostruisce il complesso dibattito sul tema in una ricerca interdisciplinare e documentata, e allo stesso tempo di grande chiarezza divulgativa.
L'intervista
Maremosso: Buongiorno, professor Fornero, e grazie di aver accettato il nostro invito per parlare di un tema tanto importante. Il libro di cui parliamo oggi si intitola “Il diritto di andarsene. Filosofia e diritto del fine vita tra presente e futuro”. C’è un filo conduttore fra i tanti temi che affronta nel suo libro?
Giovanni Fornero: Il filo conduttore è quello della indisponibilità o disponibilità della propria vita. La domanda è: siamo autorizzati o meno, in determinate situazioni, a decidere non solo della nostra vita ma anche della fine della nostra vita? A volte si cerca (subdolamente) di minimizzare la questione, consci del fatto che essa obbliga in qualche modo a “venire allo scoperto” e implica una demarcazione tra coloro che credono davvero e sino in fondo alla libertà e autodeterminazione della persona e coloro i quali ritengono invece che l’individuo non abbia la possibilità di decidere circa la continuazione o meno della propria vita. Questa demarcazione è stata storicamente attestata dalla circostanza che, sino a quando è prevalsa una mentalità indisponibilista - cioè propensa a considerare la vita una realtà sacra e intangibile, oppure appartenente alla collettività - si è esclusa a priori la possibilità di pratiche come il suicidio assistito e l'eutanasia.
MM: Quali novità presenta, questo libro, rispetto a quelli che lei ha già dedicato all’argomento?
GF: Innanzitutto, va detto che Il diritto di andarsene è un libro interdisciplinare.
Io non ragiono soltanto da filosofo: il mio è un lavoro che si apre anche al diritto, al biodiritto, alla medicina e alla politica. Nel libro si esamina, ad esempio, la diversa impostazione della Corte europea e della Corte costituzionale tedesca, che nel 2020 ha emesso un’innovativa, e per certi aspetti dirompente, sentenza.
Infatti, si era sempre sostenuto che non si potesse parlare di qualcosa come di un diritto di morire. La Corte tedesca sostiene invece che esiste un diritto alla vita autodeterminata e quindi alla morte autodeterminata. Inoltre, nel volume non tengo presente solo la morte medicalmente assistita, ma anche alcune alternative ad essa, cioè tematiche che nel nostro paese, per ora, non vengono affrontate. Io però faccio il mio lavoro di filosofo e giusfilosofo e quindi ho voluto offrire un quadro logico delle varie possibilità. Non solo di quelle presenti, ma anche di quelle “avveniristiche”.
MM: Qual è il nodo specificamente italiano che impedisce lo svolgimento di una discussione serena a proposito del fine vita?
GF: In Italia esiste tuttora un tipo di cultura in cui, per una variegata serie di ragioni di ordine storico e religioso, prevale quella che nel mio volume definisco una forma di concezione “impositiva” dell'esistenza. Concezione che oggi va chiaramente contro i valori di libertà che informano le nostre società e le nostre costituzioni e che rischia di bloccare il dibattito prima che sia davvero partito. Per porre la questione in forma di domanda: perché l'uomo viene ritenuto libero di compiere delle scelte nei vari settori della vita (affettiva, religiosa sessuale, lavorativa) ma non viene ritenuto libero di scegliere la propria morte?
MM: Persino quando le condizioni rendono materialmente intollerabile l'esistenza – ricordiamo ad esempio il caso di DJ Fabo - appare difficile stabilire che una condizione umana non è più tollerabile.
GF: La difficoltà esiste. Ma la giurisprudenza, per adesso, è giunta a fissare alcune condizioni, come quelle previste dalla sentenza 242/2019 della Consulta.
Tuttavia, queste condizioni sono adeguate? Sono qualcosa di fisso e di immutabile oppure possono mutare nel tempo? E che rapporto esiste fra quella benemerita conquista del nostro tempo che sono le cure palliative e la morte assistita? Personalmente ritengo che le cure palliative, pur essendo importanti e da incrementare, non risolvano tutti i problemi e quindi non debbano escludere, come pensano taluni, la possibilità di una morte assistita.
Fornero non si limita a a registrare il dibattito in corso, ma prende apertamente posizione in merito alle cruciali questioni del diritto di morire, del suicidio assistito e dell'eutanasia volontaria. Questioni che sono al centro di un acceso dibattito nel nostro Paese e che interpellano nello stesso tempo l'etica, la filosofia, il diritto, la politica pensata e quella agita.
MM: La Corte costituzionale italiana ha fissato parametri e paletti, però poi la discussione prosegue anche al di fuori delle aule e dei tribunali. Quale ruolo può svolgere il filosofo in questa situazione?
GF: Il filosofo può giocare un ruolo di rilievo nella diffusione di nuove idee e può contribuire a “spostare” i termini del dibattito, aggiornandoli.
Mi spiego: se le idee di libertà e autodeterminazione in Italia fossero coerentemente attuate non ci sarebbe bisogno di scrivere libri come quello di cui stiamo parlando.
Invece, proprio poiché non lo sono, dobbiamo fare quanto è in nostro potere per diffondere una “mentalità” in grado di favorire un mutamento degli assetti vigenti.
MM: Questo vale anche per la medicina?
GF: Sì. A volte si dà per scontato il paradigma ippocratico, ossia la convinzione che il medico, in quanto tale, non può mai accogliere una pratica di morte come quella del suicidio medicalmente assistito o dell'eutanasia. In realtà, in questo modo non facciamo che spacciare per assolutamente valida una antica concezione della medicina che invece andrebbe aggiornata. E ciò a favore di un nuovo paradigma e di una nuova filosofia della medicina all’altezza dei tempi, la quale dice: essendo il medico colui che persegue il bene del paziente e mira ad alleviarne le sofferenze, ecco che, in certi casi, può essere legittimato ad accogliere una richiesta di morte anticipata.
MM: Nel libro lei cita spesso Kant. Sicuramente la filosofia tedesca fornisce una “cassetta degli attrezzi” alla quale ci si può rivolgere anche per affrontare una questione come questa. In Italia ci sono diverse contingenze che invece impediscono al dibattito di esprimersi nelle sedi appropriate. Naturalmente la gente ne parla, i giornali ne parlano… però è difficile tradurre quella spinta che arriva dalla società civile verso una soluzione giusfilosoficamente accettabile. Come mai?
GF: Il punto è che c'è una frattura fra la volontà espressa dalla maggioranza degli italiani e quello che accade in politica e nel diritto.
Nel 2023 è stato pubblicato un importante rapporto Censis che documenta come la maggioranza degli italiani sia favorevole alle pratiche eutanasiche.
Il 74% dei cittadini, con punte fra i giovani di oltre l'80%. Questo vuol dire, che c'è un bisogno sociale diffuso che i politici, se non vogliono andare contro la volontà dei cittadini, non possono ignorare. Invece vediamo che su questi temi anche partiti che si proclamano progressisti appaiono in realtà spaccati al loro interno.
Tipico il caso del PD, in cui c’è una componente che è favorevole alla morte assistita e un’altra che invece favorevole non è, anche per l’influsso dell’insegnamento tradizionale della Chiesa.
MM: Quello del fine vita è un tema rispetto al quale si accusa, da sempre, quella che potremmo definire l’“interferenza” operata da una parte della Chiesa su un tema che andrebbe affrontato in modo completamente laico.
GF: Certo, ma anche per quanto riguarda la cultura cattolica bisogna spiegarsi bene.
I documenti ufficiali (sarebbe scorretto e mistificante negarlo) sostengono indubbiamente la tesi della sacralità e indisponibilità della vita. Questo non significa però non che nel mondo cattolico non ci siano spinte in avanti. Soprattutto da parte di quei cattolici che, distinguendo tra piano etico e piano giuridico, riconoscono che noi viviamo in un tipo di società in cui non è possibile - in nome di una determinata fede – costringere tutti a pensare e ad agire in un determinato modo. E perciò non escludono la possibilità di una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.
MM: Quindi è qualcosa che ha a che fare con una visione laica, secolarizzata, della società e dei temi che l’attraversano…
GF: Già i cattolici del “no”, a proposito del divorzio, avevano fatto un discorso “laico” di questo tipo: come cattolico, accetto la prospettiva della mia religione. Però non impedisco al vicino di casa, che ha un'altra visione della vita, di divorziare. Questo è ciò che può avvenire anche per la morte assistita. Anche se lo scontro politico, nei fatti, rende tutto notoriamente più difficile.
MM: Già, la politica. Ma c’è un doppio binario sul quale l’intera questione si muove (o sta ferma). Da un lato le leggi regionali che recepiscono alcune istanze e necessità espresse dalla società civile, ma su una base – per l’appunto - locale, dall’altro emerge prepotente il bisogno di una legge nazionale, come chiede da tempo, ad esempio, un politico come Marco Cappato…
GF: È chiaro che una legge nazionale rimane la cosa migliore. Tuttavia, poiché si stenta a percorrere la via nazionale, si è pensato di procedere a livello regionale. Però su questo punto, anche sul piano mediatico, circolano inesattezze. Infatti, non si tratta di “introdurre” per via regionale il suicidio medicalmente assistito, perché quest’ultimo, in Italia, è già previsto dalla menzionata pronuncia della Corte costituzionale. Più esattamente, quello che si vuole fare è garantire una efficace attuazione di tale sentenza.
MM: Un’ultima cosa. Leggendo il suo libro, ho avuto l'impressione che il tema del fine vita, oltre che essere un tema interdisciplinare, sia un tema che coinvolge la questione della cittadinanza in generale.
GF: Pienamente d'accordo. Riflettere sul tema interdisciplinare del fine vita significa contestualmente riflettere sul tema della cittadinanza e nella fattispecie - soprattutto in un Paese come l’Italia - riflettere su cosa dovrebbe comportare il fatto di essere cittadini di una società veramente laica e pluralistica.
Molte grazie, professor Fornero!
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