Mercoledì 26 aprile 2023
Il film di Moretti mi ha fatto ridere e divertire, praticamente dall’inizio alla fine.
Probabilmente perché sono di bocca buona, e anche vecchietto; leggo infatti che in molti trovano la pellicola fastidiosamente morettiana, narcisistica, nostalgica, senile, veltroniana, inutile.
Che si formino due partiti intorno a un film è peraltro una cosa buona, giova al botteghino e infatti i dati del film di Moretti sono ottimi.
Quel che mi è piaciuto di più è il colpo di genio di ambientare la disputa etico-politica sul comunismo nel 1956, al tempo dei “fatti” di Ungheria (già l’idea che si siano sempre chiamati i “fatti” e non “la rivoluzione ungherese” o “l’invasione sovietica dell’Ungheria” la dice molto lunga). Racconta Moretti quello che è sempre stato un tabù: la direzione del PCI di allora, praticamente nessuno escluso, rinnegò gli ideali della sua base, il suo statuto, la sua storia e, in generale la sua umanità, perché d’accordo con i dettami del comunismo staliniano.
Certo, uscirono dal partito intellettuali come Italo Calvino, Antonio Giolitti, Renzo De Felice, si oppose frontalmente Giuseppe Di Vittorio a capo della CGIL, ma Togliatti non tentennò (anzi, come raccontò Ingrao che gli rese nota la sua crisi di coscienza, il Migliore disse: “un consiglio? Beviti un buon bicchiere di Barolo”).
Nanni Moretti affronta la questione senza le reticenze, i distinguo, le giustificazioni che ancora oggi accompagnano i “fatti”.
In una delle scene più azzeccate del film, nella parte del regista che esamina gli oggetti di scena, guarda il titolo dell’Unità molto perplesso… “Ma siete sicuri che sia quello giusto? Non è possibile, è troppo lungo…”
E invece era proprio così, con “intervengono” al posto di “invadono”, con “l’anarchia”, che funziona sempre e il “terrore bianco”, per non dire l’America, o la NATO, o i nipoti dello zar.
(Se questo era il titolo, le cronache da Budapest erano ancora peggio: completamente false. Le uniche cronache veraci le mandò Indro Montanelli che raccontò gli insorti ungheresi come patrioti, comunisti, giovani, che semplicemente non volevano vivere sotto Mosca).
Mi è venuto un dubbio: non è che parlando di Ungheria, Moretti abbia voluto parlare di Ucraina?
Non è che quel riflesso condizionato – l’Urss ha sempre ragione – con cui milioni di persone sono cresciute e hanno convissuto, vale ancora adesso che L’URSS non c’è più, ma di cui in troppi sentono tanta nostalgia?
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